Audioguida per il percorso naturalistico
Nome pianta:
Corbezzolo
Ordine:
Ericales
Famiglia:
Ericaceae
Genere:
Arbutus
Specie:
Arbutus unedo
Formula fiorale:
⚥ K5 C5 A10 G̲(5)
Apparato radicale:
Fittonante profondo
Frutto:
Bacca
C’è un momento, tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno, in cui i colori della macchia esplodono in silenzio: il rosso vivo dei frutti maturi, il bianco candido dei fiori e il verde intenso delle foglie sempreverdi. È il corbezzolo (Arbutus unedo), pianta dalle mille sfumature, emblema di un Mediterraneo che sa essere dolce e selvatico allo stesso tempo.
Originario del bacino occidentale del Mediterraneo, il corbezzolo ha viaggiato lungo le coste, portato dal vento, dagli uccelli e dalla mano dell’uomo. Presente in Spagna, in Grecia, nel Maghreb e naturalmente in Italia, ha trovato in Puglia una terra ideale: tra i calcari assolati della Murgia, nelle zone collinari vicino al mare, lungo i margini delle antiche masserie di Ostuni e delle lame nascoste, dove la macchia si fa profonda e profumata.
Pianta autoctona, ma con spirito nomade, il corbezzolo è sopravvissuto ai mutamenti del paesaggio, ai disboscamenti e agli incendi. Ha resistito, tornando a fiorire dove sembrava non esserci più nulla. Per questo, è diventato anche simbolo di rinascita e resistenza, un piccolo fuoco che arde lento tra le pietre.
Il corbezzolo appartiene alla famiglia delle Ericacee. È un arbusto robusto, spesso simile a un piccolo albero, che può superare i cinque metri d’altezza. La corteccia si sfoglia in placche sottili e color ruggine, le foglie sono coriacee, oblunghe, lucide, sempreverdi. I fiori compaiono tra ottobre e dicembre: campanelle bianche, a volte rosate, simili a quelle dell’erica. E mentre i fiori sbocciano, i frutti dell’anno precedente raggiungono la piena maturazione, creando un meraviglioso contrasto cromatico.
I frutti sono globosi, di un rosso acceso punteggiato da piccole escrescenze. La polpa è granulosa, dolce ma con un retrogusto acidulo. Una curiosità affascinante: a piena maturazione, i frutti iniziano una leggera fermentazione naturale che li rende lievemente alcolici. Non è raro che gli uccelli, ingordi e inconsapevoli, ne mangino in gran quantità finendo in uno stato quasi euforico. E chissà se anche gli antichi abitanti di queste terre non abbiano fatto esperimenti simili...
Il nome della specie, unedo, ha origini latine e viene spesso tradotto come “ne mangio uno solo” – forse per via del sapore particolare dei frutti maturi, non sempre amato al primo assaggio.
Pianta sacra ai Romani, il corbezzolo compariva nei giardini votivi dedicati ai Mani, le anime degli antenati. Virgilio lo cita nell’Eneide, associandolo alla memoria e alla pace dei defunti. Ma anche il suo portamento tricolore – rosso, bianco e verde – ha fatto del corbezzolo un simbolo patriottico per eccellenza, tanto da comparire nei testi risorgimentali come emblema dell’unità d’Italia.
Nel folklore pugliese, invece, il corbezzolo è pianta "delle donne forti": chi raccoglieva i suoi frutti tra la boscaglia era spesso chi conosceva l’arte di curare con ciò che la terra offriva. Le bacche venivano usate per preparare decotti contro i dolori addominali, le foglie servivano a trattare infiammazioni urinarie e la corteccia trovava impiego come astringente. Nelle aree attorno a Ostuni e nel brindisino, era usanza raccogliere i frutti più maturi per conservarli sotto grappa o vin cotto, ottenendo un liquore “di donne e di fuoco”, come si sussurrava.
Nell’epoca dell’autoproduzione e della povertà contadina, il corbezzolo era uno dei tanti doni dimenticati della macchia. I bambini ne mangiavano i frutti direttamente dagli arbusti, mentre le donne li trasformavano in confetture, marmellate e infusi, con quel sapore inconfondibile di bosco e tempo.
L’alimurgia – l’arte di riconoscere e utilizzare le piante selvatiche a fini alimentari – aveva nel corbezzolo un alleato prezioso: una pianta che sfamava, curava, riscaldava. Le foglie venivano talvolta aggiunte ai decotti digestivi o usate come tisana depurativa, e la polpa dei frutti entrava nei pani dolci cotti nei forni a legna delle masserie, insieme ad altra frutta spontanea di stagione.
Oggi, il corbezzolo torna a essere protagonista di una riscoperta gastronomica e naturalistica. Chef e piccoli produttori locali ne esaltano la versatilità: marmellate artigianali, liquori aromatici, miele monoflora rarissimo – prodotto dalle api che si nutrono dei suoi fiori invernali – e perfino birre aromatizzate.
In terra di Ostuni, dove il bianco delle case incontra il verde della macchia, il corbezzolo continua a raccontare la storia di chi sapeva nutrirsi con rispetto, ascoltando la voce delle stagioni. Una pianta che è insieme memoria e promessa, tra il fuoco dei suoi frutti e la quiete delle sue foglie lucide.