Audioguida per il percorso naturalistico
Nome pianta:
Melograno
Ordine:
Myrtales
Famiglia:
Lythraceae
Genere:
Punica
Specie:
Punica granatum
Formula fiorale:
⚥ K(5–8) C(5–8) A∞ G̲(5–8)
Apparato radicale:
Fittonante profondo
Frutto:
Balausta
Il melograno non si lascia afferrare subito. Sta lì, tra rami sottili e spinosi, con foglie oblunghe e lucide che brillano al sole come piccole lance di vetro. Poi, all’improvviso, inizia lo spettacolo: i suoi fiori, simili a fiaccole ardenti, color corallo acceso, si aprono come se volessero infondere al mondo un palpito di vita rossa. Ed è solo con la pazienza che si arriva al frutto, un globo coriaceo e lucente che custodisce dentro di sé un tesoro di semi rubini, dolci e aciduli come la terra che li ha cresciuti.
Originario delle fertili pianure tra Persia e India, il Punica granatum ha seguito le rotte dei mercanti e dei miti, approdando sulle coste del Mediterraneo migliaia di anni fa. I Fenici lo portarono sulle loro navi, gli Egizi lo offrirono agli dei come simbolo di rinascita, mentre i Greci gli affidarono un mito eterno: quello di Persefone e del suo destino legato ai chicchi di questo frutto. In ebraismo e cristianesimo divenne segno di abbondanza, spiritualità e mistero.
Il Sud Italia, con i suoi cortili assolati e i muretti di pietra bianca, divenne terra d’elezione per il melograno. Qui lo si piantava vicino alle case, come amuleto di prosperità e protezione. Ancora oggi, nelle campagne pugliesi o siciliane, non è raro vedere i suoi rami che si caricano di frutti rossi a fine estate, pronti a spaccarsi in autunno, quasi volessero offrire un dono nascosto.
Utilizzi antichi e moderni
Il melograno è frutto di sapienza antica e di gesti lenti. Le nonne del Sud ne conservavano i frutti secchi fino a primavera, credendo che portassero fortuna e scacciassero il malocchio. Durante i matrimoni, aprirne uno significava augurare fertilità: chi trovava più semi avrebbe avuto una vita prospera. Il suo succo, rosso e intenso come il tramonto, veniva usato per curare l’anemia, colorare tessuti, preparare sciroppi e decotti dal sapore quasi rituale.
Nella cucina mediterranea, i suoi chicchi sono piccole gemme commestibili: insaporiscono insalate, accompagnano carni e pesci, danno vita a salse agrodolci. In Medio Oriente, il succo di melograno diventa melassa, densa e scura, mentre in Italia lo ritroviamo nei liquori artigianali e nei dolci autunnali. Ricco di polifenoli, vitamine e antiossidanti, è oggi considerato un “superfood”, ma dietro questo termine moderno si cela un’antica verità: il melograno è da sempre fonte di vita, energia e bellezza.
Oltre al frutto, anche la corteccia e i fiori erano usati in medicina popolare: decotti astringenti, tinture naturali, rimedi per la pelle. E il legno, duro e resistente, veniva impiegato per piccoli lavori artigianali.
Un cuore che si svela
Il melograno è una metafora vivente: la buccia coriacea protegge la dolcezza interiore, le spine difendono la fragilità nascosta. Quando in autunno i frutti si aprono spontaneamente, sembra che l’albero stesso voglia raccontare un segreto: la ricchezza non si mostra, si custodisce. E solo chi ha la pazienza di aprire quel cuore di rubini può scoprire il giardino che c’è dentro.
Il Punica granatum, con il suo portamento elegante e antico, resta ancora oggi una sentinella del Mediterraneo, un piccolo miracolo di colore e sapore che continua a unire storie, popoli e stagioni.